CC_poveriLa stima di povertà delle famiglie non era mai stata così pesante dal 2005, e dopo 10 anni 4 milioni e mezzo di  famiglie sono poverissime, caricando di richieste i servizi, le Caritas, i centri di ascolto e le mense. Le stime di povertà diffuse dall’Istat  si basano sui dati dell’indagine sulle spese delle famiglie che ha lo scopo di rilevare la struttura e il livello della spesa per consumi secondo le principali caratteristiche sociali, economiche e territoriali delle famiglie residenti è una misura basata sulla valutazione monetaria di un paniere di beni e servizi considerati essenziali per evitare gravi forme di esclusione sociale. L’unità di riferimento del paniere è la famiglia, considerata rispetto alle caratteristiche dei singoli componenti, dei loro specifici bisogni (ad esempio per le esigenze di tipo nutrizionale) e delle eventuali economie di scala o forme di risparmio che possono essere realizzate al variare della composizione familiare. Se la povertà assoluta classifica le famiglie povere/non povere in base all’incapacità ad acquisire determinati beni e servizi, la misura di povertà relativa, definita rispetto allo standard medio della popolazione, fornisce una valutazione della disuguaglianza nella distribuzione della spesa per consumi e individua le famiglie povere tra quelle che presentano una condizione di svantaggio (peggiore) rispetto alle altre. Viene infatti definita povera una famiglia di due componenti con una spesa per consumi inferiore o pari alla spesa media per consumi pro-capite. Per famiglie di diversa ampiezza viene utilizzata una scala di equivalenza che tiene conto dei differenti bisogni e delle economie/diseconomie di scala che è possibile realizzare in famiglie di maggiore o minore ampiezza. Tali soglie permettono di individuare diversi gruppi di famiglie, distinti in base alla distanza della loro spesa mensile dalla linea di povertà. Nel 2015 le famiglie “sicuramente” povere (che hanno livelli di spesa mensile equivalente inferiori alla linea standard di oltre il 20%) sono il 5,2%, quota che sale all’11,3% nel Mezzogiorno.  È “appena” povero (ovvero ha una spesa inferiore alla linea di non oltre il 20%) il 5,2% delle famiglie residenti (9,1% nel Mezzogiorno); tra queste, più della metà (2,9%, 4,8% nel Mezzogiorno) presenta livelli di spesa per consumi molto prossimi alla linea di povertà (inferiori di non oltre il 10%).  È invece “quasi povero” il 7,2% delle famiglie (spesa superiore alla linea di non oltre il 20%) mentre il 3,2% ha valori di spesa superiori alla linea di povertà di non oltre il 10%, quote che salgono rispettivamente a 12% e 5,3% nel Mezzogiorno.  Le famiglie “sicuramente” non povere, infine, sono l’82,4% del totale, con valori pari al 90,3% nel Nord, all’87,3% nel Centro e al 67,6% nel Mezzogiorno. Nel 2015, 1 milione 582 mila famiglie (il 6,1% delle famiglie residenti) risulta in condizione di povertà assoluta in Italia, per un totale di 4 milioni e 598 mila individui (7,6% dell’intera popolazione), il valore più alto dal 2005. Dopo essere salita al 5,6% nel 2012, l’incidenza di povertà assoluta è rimasta sostanzialmente stabile intorno al 6% negli ultimi tre anni per le famiglie, mentre è in crescita in termini di individui (7,6% nel 2015, 5,9% nel 2012). Attendiamo politiche dal governo attente al nucleo centrale dell’educazione perché il  mensile delle famiglie povere è mediamente sotto la linea di povertà, ovvero “quanto poveri sono i poveri”.