CC_migranti accoglienzaVictor Hugo, deputato nella Deuxième République, scriveva nel suo diario: “Di fronte alle barricate, ho difeso l’ordine. Di fronte alla dittatura, ho difeso la libertà … Ho definito e limitato lo stato d’assedio… uno stato d’assedio, questo, inutilmente prolungato, che pesava sulla città di Parigi, sulle municipalità, sul credito, sugli affari, sulla fiducia della gente. Sono tra coloro che ne hanno chiesto ed ottenuto la fine”. (Choses Vues, Gallimard). Già nel 1849, dunque, il grande scrittore francese si poneva la questione della ricerca di un punto di equilibrio tra sicurezza e libertà, un tema ancora irrisolto al giorno d’oggi. La rotta dei Balcani occidentali è completamente chiusa ai migranti: Slovenia, Croazia, Serbia e Macedonia hanno vietato di valicare la frontiera a chiunque non abbia regolari documenti per l’accesso all’Unione Europea, compresi i richiedenti asilo che ne avrebbero diritto. Queste misure a catena seguono l’ennesimo rinvio di un accordo tra Ue e Turchia, che e’ stato  discusso al vertice europeo del 17-18 marzo. Primo: i respingimenti di massa sono un incubo giuridico, in quanto le nostre legislazioni proibiscono di rispedire i richiedenti asilo in paesi che non offrono adeguata protezione legale. La soluzione ipotizzata dall’Europa dei diritti è piegare il diritto alle esigenze contingenti: la Turchia, pur non appartenente alla convenzione di Ginevra, sarebbe elevata a paese terzo “sicuro”. Amen. Fatti salvi eventuali ricorsi di gruppi umanitari (Amnesty International è già sul piede di guerra) o singoli alla Corte di giustizia europea, dagli esiti non scontati. Secondo: la clausola 1:1 (una persona accolta in Europa per ogni persona rispedita dalla Grecia alla Turchia) riapre lo spinoso problema dei ricollocamenti. Resta da capire chi e come convincerà Polonia, Ungheria, Baltici, Austria, Svezia, Danimarca, Slovenia (inter alia), alcuni dei quali hanno già prospettato il veto. Che Lubiana abbia chiuso le sue frontiere – sigillando definitivamente la rotta balcanica e cementando ulteriormente quel “blocco di Visegrad” allargato postosi in rotta di collisione con la Germania – la dice lunga in proposito. Terzo: non meno facile è convincere la Grecia, ma soprattutto Cipro, che schiudere le porte dell’Ue alla Turchia sia un prezzo che vale la pena pagare per tamponare questa crisi. In questi lunghi anni di recessione europea e parallela deriva autoritaria turca le prospettive sulla questione sono cambiate anche in altri paesi, a cominciare dalla Francia e dall’Italia. Quarto: spostare le persone contro la loro volontà non è sempre facile, né possibile. Dopo aver pagato (ulteriori) mille euro ai trafficanti turchi e aver nuovamente rischiato la vita per approdare in Grecia, non ci stupiremmo se i dannati della rotta balcanica avessero da obiettare alla prospettiva di essere riportati in Turchia. E poi noi affacciati nel mediterraneo abbiamo di che preoccuparci per la Libia. Ci sono in Libia tre crisi: una è quella che s’incarna nella guerra civile. Questa crisi ha portato a un vuoto di governo sul territorio che ha a sua volta facilitato le altre due crisi: quella della penetrazione dell’Isis dalla Mezzaluna Fertile al Nord Africa e quella dell’immigrazione clandestina, un business organizzato, non meno forte di quello della droga in America Latina, che sta assumendo proporzioni insopportabili. Il rapporto che c’è fra queste crisi non è biunivoco. Se si risolve la crisi politica libica si pongono senza dubbio le basi per poter risolvere le altre due, con azioni sia militari, sia di controterrorismo, sia economiche, in cui l’appoggio occidentale risulterebbe efficace (avendo un governo di controparte); se si comincia invece dall’affrontare le altre due con azioni militari o di polizia, i governi occidentali risponderebbero, sì, alle forti pressioni e preoccupazioni interne in atto, ma aggraverebbero la crisi politica libica e, ciò facendo, indebolirebbero i loro stessi interventi (come del resto sta accadendo in Iraq e Siria). Per tutto questo io non ho soluzioni magiche, ma so che l’ambiguità che oggi rinfacciamo ai terroristi l’abbiamo coltivata in seno al nostro mondo foraggiando di armi e di ideologia contro i nostri nemici, che diventati nostri amici, sono i nostri nuovi patner minacciati dal terrorismo. Chi è percosso in una guancia porge anche l’altra. Significa che io sto dalla parte dei Monaci di Thibrine, di Charles de Foucald, di Padre Santoro: sono morti da Martiri, senza rubare la vita agli altri ma donando la loro. Ecco le mie armi di negoziazione tra i popoli e le religioni, come Francesco scelgo l’amore e l’accoglienza senza buonismo ma con progetti di inserimento e di vita buona.