dolore_14_24741Gli avvenimenti drammatici di questi tempi ci pongono di fronte alla domanda: quale futuro per l’umanità? Il terrorismo, ritornando ad essere protagonista della storia,  rende il tessuto sociale insicuro e incerto. Le ferite sono sempre più profonde e il tempo che passa non riesce a rimarginarle. Veniamo da una cultura, quella di fine Ottocento, che, animata da un forte senso di messianismo scientifico, proponeva il sogno di un futuro felice per tutti, grazie ai progressi innescati dalla scienza e dalla biologia. In campo sociologico, Marx metteva in evidenza le profonde contraddizioni del capitalismo nella prospettiva di un profondo rovesciamento del pensiero e della storia. Sul versante della psicologia, Freud dichiarava che si poteva colmare in buona parte lo iato tra l’inconscio e il conscio: l’io sarebbe riuscito a prosciugare le forze inconsce. La storia che ci precede è cresciuta dentro questa cultura dei sogni, delle promesse, dell’ottimismo. Con l’arrivo delle Guerre mondiali il castello che avevamo costruito è crollato e su quelle macerie abbiamo cercato di ricostruire una società più disincantata, più con i piedi per terra. Dov’è finita oggi questa visione ottimistica?  La scienza, l’utopia e la rivoluzione hanno mancato alla promessa di un mondo nuovo. Ci troviamo ad affrontare problemi che sono insormontabili, problemi di ogni genere che vanno dall’inquinamento alle diseguaglianze sociali, dai disastri economici alle forme di nuove povertà, dalla esplosione della violenza all’intolleranza religiosa. Questo ci costringe a vivere concentrati sull’oggi. La mancanza di un futuro come “promessa” blocca il desiderio, lo frena e lo concentro dentro l’assoluto presente: il domani è senza prospettiva. Sostiene il grande teologo Sequeri che quando cede l’orizzonte dei grandi fini, che vivono sempre di una profonda passione per la destinazione dell’uomo, viviamo di mezzucci. Le vocazioni di speciale consacrazione perdono di credibilità e la stessa educazione ne risente. I genitori, come anche gli insegnanti, sono privati dall’autorevolezza di indicare con fermezza ai ragazzi la strada da percorrere. Il rapporto tra generazioni diverse si assesta sul piano della contrattazione e non della reciproca fiducia. Non si dà più nulla per scontato e questo spinge ogni educatore a dover sempre giustificare il suo pensiero e le sue scelte nei confronti dei giovani. Serpeggia nelle relazioni un forte senso di sfiducia e di smarrimento. Dobbiamo chiedere alla vita più spirito, dobbiamo imparare a produrre più qualità spirituale che aiuterà gli uomini e la terra a riscoprire la sua profondità, la sua forza, la sua creatività e la sua bellezza. È questo quello che ci aspettiamo nell’anno della Misericordia indetto dal grande Papa Francesco.