FEDE[1]“L’eternità chiede a te, e a ognuno di questi milioni di milioni, una sola cosa: se tu hai vissuto disperato o no”. È Kierkegaard, nel suo volume LA MALATTIA IMMORTALE, a offrire questa sentenziosa affermazione. E’ innegabile, dal punto di vista della scienza “spirituale”, che l’uomo ha sete di eternità, di infinito: una sete di orizzonti aperti definisce il nostro rapporto con lo spazio e il tempo. Il cielo è la metafora di questa apertura ontologica del cuore. Chi ci dona la forza e il coraggio di sporgerci sulla trascendenza e di sognare una felicità definitiva, piena, esaustiva? Viviamo su due fronti: da un lato, la terra con il suo richiamo continuo alla “carne”, con la sua bellezza multiforme, con i suoi ritmi naturali fascinosi; dall’altro, ci sentiamo come una sorta di avamposto di fronte alla stelle (dal latino de-sidus = la distanza tra gli occhi e le stelle), davanti al dispiegarsi del mistero insondabile dell’immenso oceano galattico. Se guardiamo al pensiero moderno, scopriamo che, dal punto di vista filosofico, la parola “speranza” è stata tradotta con “progresso”. C’è un’idea che serpeggia tra i più grandi pensatori: ci potrà essere un vero progresso verso il meglio e verso un mondo finalmente buono e più vivibile, non solo attraverso la scienza, ma anche e fondamentalmente attraverso la politica. Marx ha affascinato generazioni intere (e continua a farlo oggi) attraverso il suo pensiero rivoluzionario di cui ne sa qualche cosa la Russia. Marx si è dimenticato di dire che cosa fare dopo il rovesciamento della situazione socio-politica della storia. Papa Ratzinger, nella sua enciclica sulla speranza SPE SALVI, denuncia con chiarezza il grande errore del filosofo di Treviri: ha dimenticato che l’uomo rimane sempre un uomo, con la sua libertà, con il suo libero arbitrio. Non si può ridurre l’uomo a un prodotto di condizioni economiche:  non è sufficiente pensare che saranno le condizioni economiche favorevoli a salvarlo. La speranza cristiana è ben altro. Nella Bibbia La parola “sperare” spesso sta per “credere”. “Fede” e “speranza” sembrano interscambiabili, ricorda Benedetto XVI: “Il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è la comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova.” (Spe Salvi, 2). Il cristianesimo non si pone contro la scienza e la tecnica, ma ritiene che da lì non può pervenire il riscatto dell’uomo, non può scaturire un futuro capace di renderlo veramente felice. L’uomo può essere salvato, ovvero può sperare, solo attraverso l’Amore, quello incondizionato, quello che abbiamo conosciuto nel volto del Figlio di Dio.