Nei freddi inverni di qualche decennio fa chi abitava in campagna doveva fare i conti con le rigide temperature invernali. Spesso la neve isolava per parecchi giorni le cascine, le strade non erano asfaltate e spostarsi da una casa colonica all’altra era un problema, soprattutto nel periodo di carnevale, quando si organizzavano le  veglie nelle enormi cucine dei  cascinali. Dalle finestre  si seguiva con una certa apprensione il crescere del manto  nevoso, ogni ora che passava voleva dire più neve da spalare per poter uscire di casa e fare la “rotta”, il sentiero cioè che permetteva di andare da una casa all’altra; la sera non c’era la televisione e ci si radunava tutti o nella stalla a scaldarsi o in cucina davanti al grande camino, dove si discuteva o ci si impegnava in piccole faccende, come intrecciare canestri,  rammendare gli abiti, raccontare le favole ai bambini. Prima di andare a nanna i nostri vecchi andavano a riscaldare il letto con “il prete”. Non quello con la tonaca, si intende, ma quell’oggetto in legno, a forma di doppio arco, che serviva a tenere sollevate le coperte, ed al centro del quale si metteva “la suora”, un recipiente in terracotta  dentro al quale era conservata della brace accuratamente coperta di cenere in modo che non facesse fumo e non si spegnesse troppo presto. In alcune famiglie si usava invece lo scaldaletto, un altro  recipiente in lamiera  con un lungo manico  anch’esso pieno di brace , ma con la sola differenza che era usato subito prima di coricarsi; “il prete”, invece, rimaneva a letto per parecchio tempo, e molte volte i bambini si addormentavano addirittura senza toglierlo, perchè il tepore che emanava era veramente gradevole. Chi possedeva un solo prete lo usava a turno: prima si scaldava il letto dei più piccoli, visto che andavano a dormire per primi, poi dei giovani ed infine quello dei genitori che lasciavano la cucina dopo che tutti gli altri si erano coricati. Tra le altre funzioni di questo strano oggetto, c’era anche quella di favorire la lievitazione del Pane; molte volte infatti, soprattutto in inverno, il freddo non permetteva la normale panificazione e rallentava la crescita dei filoni; quindi si provvedeva a metterli sotto le coperte dove il calore accorciava di alcune ore il processo di lievitazione.

Marta Zella