resurrezioneLa Pasqua è alle porte e davanti a noi, nella memoria annuale, si profila l’immagine del dramma di Dio che decide di mettersi totalmente in gioco per la salvezza dell’umanità. Un fatto che ha coinvolto la mente e il cuore di miliardi di persone nella storia di due millenni. La Pasqua è la festa dell’amore infinito che vuole attirare a sé le creature, affidando un comandamento che costituisce il fulcro dell’etica cristiana: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Matteo 12, 31). Quindi, prima bisogna amare sé stessi e se si impara ad amare sé stessi si è anche disposti e capaci di amare il prossimo? Questa concezione, prima amo me stesso e quindi anche gli altri, non corrisponde alla fisiologia umana perché nessun essere umano fa così, né quando è bambino, né quando è ragazzo innamorato, né quando è genitore o persona adulta e deve rapportarsi con i suoi amici. Mettendo da un lato per un momento il cristianesimo e guardando all’essere umano, ci accorgiamo che noi possiamo imparare a restituire in forma personale l’amore che abbiamo ricevuto anche soltanto nella nostra fantasia, nella nostra mente e nella nostra immaginazione. Questa è la potenza del sistema: noi ci immaginiamo la bellezza, la profondità, l’incanto di qualcosa che ci ha raggiunto e ci impegniamo personalmente a tradurlo, ad adattarlo e a farlo circolare perché raggiunga un altro, pensando: ho trovato una cosa bella per voler bene, l’adopero prima per me e poi, se funziona, l’adopero anche per un altro… Questa dinamica non funzionerà: all’altro non arriverà mai perché si corromperà dentro di noi, perderà il suo incanto come la manna e diventerà ansia, ossessione e cominceremo a chiederci se siamo abbastanza felici, se siamo sufficientemente prestanti, se abbiamo un bel naso, se abbiamo superato la prova costume, ecc… Questo è l’uomo moderno. Ma in quel momento tutto muore perché nessuno penserà mai di voler bene abbastanza a se stesso per intraprendere la strada di voler bene a qualcun altro e scopriremo sempre che ci manca qualcosa: ecco perché è una trappola. E c’è un risvolto simile a questo quando pensiamo che per poter avere la forza di tale amore dobbiamo considerare di ignorare noi stessi, di non pensarci, di essere come astratti su di noi, quasi senza conoscerci, senza pensare ad approfondire le nostre possibilità di vita e buttarci nell’amore del prossimo. Ecco, questo è uno sbaglio simile al primo in quanto vorrebbe dire che basta che noi ci sacrifichiamo ed è amore; è sufficiente che noi perdoniamo a priori ed è amore: ma cosa c’è di cristiano in tutto questo? È l’amore, è la responsabilità, è la serietà con la quale noi ci impegniamo, ci lasciamo coinvolgere, cerchiamo di conoscere il meglio che possiamo noi stessi, dare il massimo della nostra responsabilità nei confronti di ciò che sappiamo fare dentro i limiti che abbiamo. Solo in quel momento diventiamo capaci di generazione e non di un senso di onnipotenza, di un delirio che possiamo essere tentati di tradurre in questo modo: se ci sacrifichiamo è amore. La Pasqua ci restituisce alla verità dell’amore che non scaturisce dall’ossessione né da un delirio di onnipotenza. Il momento dell’amore supremo, che comporta anche il sacrificio di sé, ha tutto un’altra logica: quella della croce. Nel contesto della passione il perdono è fondamentale: Gesù alle persone che gli stanno facendo del male non dice “io ti perdono”, ma chiede al Padre di perdonare perché vuole raccoglie tutte le nostre grida prima della morte, perché solo Lui può perdonare il grande male. Gli uomini “non sanno quello che fanno” perché non conoscono l’amore di Dio, dice Karl Rahner. Quel poco di amore che conosciamo è fatto di frammenti e il male ha buon gioco nell’abitarlo, anestetizzando la libertà e illudendoci con i falsi amori. Sulla croce Gesù manifesta la dinamica del vero amore quando grida: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Qui l’accento non deve cadere sul senso di abbandono che sperimenta, ma sulle prime parole “Dio mio, Dio mio…”: Gesù resta fedele a Dio anche quando Lui tace. Le ultime parole: tutto è compiuto… Anche Paolo aveva scritto “Dio porti a termine ciò che in te cristiano ha iniziato”: noi iniziamo, non portiamo a termine nulla e chi pensa così è semplicemente un orgoglioso che è tentato dalla pura follia umana che pensa di bastare a se stessa.