Ha celebrato Don Pietro Sacchi, sacerdote orionino impegnato a portare conforto a tanti ammalati all’ospedale di Tortona
Don Pietro Sacchi sa cosa è il coronavirus. Gli ha combattuto fianco a fianco per lunghe settimane, come cappellano dell’ospedale di Tortona, convertito in Covid Hospital. Quando il sacerdote orionino racconta il dramma di questa pandemia avrebbe tutto il diritto di estraniarsi da quella realtà che ha toccato con mano, prenderne le distanze. Invece no, lui lo vive ancora a fianco del prossimo, come una missione di vita e di fede. Così lo ha evidenziato bene a tutti coloro che hanno preso parte alla Messa di ringraziamento degli operatori sanitari impegnati in questa emergenza. La Messa nel cortile dell’oratorio Casa del Giovane di Lungavilla diretto da Don Cesare De Paoli, ha avuto proprio il sapore del grazie autentico e partecipato, a chi ha vissuto in trincea ma ha sempre fatto emergere il contatto umano con il malato, anche con chi aveva poche speranze di vita. “Sapete cosa accadeva là dove non c’erano medicine? C’era il cuore a cuore, c’era il farsi carico di una vita umana – ha sottolineato Don Pietro durante l’omelia -. Non c’era una cura, non c’era un farmaco miracoloso, eravamo tutti spaventati. Voi operatori sanitari avete fatto quello che si fa quando entriamo quotidianamente nelle carceri, nei campi nomadi, nelle situazioni di vita difficili da accettare. Ma alla fine ti innamori dell’uomo è un fuoco ardente, che ti brucia dentro. Quello che fate voi operatori è proprio questo. Vivete quel fuoco ardente dentro di noi, quello di Dio, che ci spinge ad andare oltre le cure, ad infondere amore. Il principio della reciprocità che in chi fa volontariato fa la differenza”. Don Pietro ha messo in risalto quel che ha provocato il covid non solo dal punto di vista sanitario: “ Questa pandemia ha fatto cadere maschere e corazze, ci ha messi con le spalle al muro e ci ha mostrato per quello che eravamo veramente. Potevi uccidere tuo fratello con un colpo di tosse. Io dovevo stare attento anche a come vestirmi per proteggermi e proteggere gli altri pazienti, ma soprattutto dovevo stare attento a svestirmi, era la cosa più complicata, medici ed infermieri mi hanno insegnato. Pensate a cosa si provava in quei momenti ad avere di fronte a noi ogni giorno tutte quelle bare, a fare un funerale con asperge, una benedizione, quattro parenti e via. Abbiamo tirato fuori il meglio di noi in prima linea, adesso il peccato mortale sarebbe ignorare tutto quello che questo tempo di fatica ci ha messo davanti”. Dopo il silenzio fuori ordinanza, eseguito con la tromba e rivolto a tutti i camici bianchi che non ce l’hanno fatta (momento davvero emozionante per tutti), ecco un auspicio rivolto a tutti i volontari della Croce Rossa, della Protezione Civile e delle altre associazioni di volontariato presenti alla funzione: “Vi faccio un grande augurio: siate sempre la bellezza che brucia, questo fuoco vivo d’amore per Dio che brucia. Questa bellezza è il lievito della vita. Solo se ami arrivi a scoprire queste cose, se ami nonostante questa povertà, questa fragilità. Ma quanto vale la vita..e che dono è..”.

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