FEDE[1]“Il Papa, invece di “confermare nella fede”, “confonde e destabilizza” i cattolici”. Quest’affermazione è di Antonio Socci, il nebuloso “crieur” da strapazzo che sta imperversando nelle pagine del web con le sue bordate anti-papaline, ma senza avere grande seguito a parte i vecchi e i nuovi Lefreviani, con i quali ultimamente va a braccetto, e qualche altro nostalgico tridentino (Concilio di Trento: 1545!) che da ben due anni hanno viziato l’aria con le loro profezie catastrofistiche, come ad esempio: “dopo il Sinodo viene giù tutto”. Ha ragione Marco Tosatti, vaticanista, nel dire “molto rumore per nulla, o quasi? […] sui temi scottanti che hanno appassionato giornali e monsignori negli ultimi due Sinodi, l’esortazione post-sinodale ha in buona sostanza lasciato le cose come stavano prima del clamore della battaglia”. Qualcuno ha scritto che nell’Esortazione post sinodale di Papa Francesco non c’è nulla di urlato e che bisogna leggerla con pazienza e con spirito di chi si affida. È un testo che sfugge alle trappole dei soliti furbi che vogliono tirare di qua o di là le parole del Magistero a sostegno di un’idea o di un’altra. Ancora, il Santo Padre fa della Misericordia la via della verità, la misura, il paradigma della Chiesa nella crisi del mondo contemporaneo. Al n. 8, Papa Francesco cita la bella metafora del poeta Borges, “ogni casa è un candelabro”, perché ci vuole insegnare un metodo nuovo per guardare alla vita e alle persone: partire non dall’alto, ma da accanto. Si respira talvolta tra i credenti una preoccupazione difensiva che manifesta una netta chiusura al potere insito nella grazia di Cristo, l’unica capace di trasformare la realtà e il cuore dell’uomo. “Amoris Lætitia”: è un forte richiamo a prendere sul serio la gioia dell’amore. Ma che cosa bolle in pentola? Probabilmente i mass media si aspettavano grandi cambiamenti epocali sulla prassi della Chiesa cattolica, magari sulla scia delle aperture del cardinale Kasper, al quale il Santo Padre aveva affidato la relazione introduttiva al Concistoro. Rispondendo a un’intervista, il già vescovo di Rottenburg-Stuttgart presenta la sua posizione: “Non ho proposto una soluzione definitiva, ma – dopo averlo concordato con il Papa – ho fatto delle domande e offerto considerazioni per possibili risposte. Questo è l’argomento principale: il sacramento del matrimonio è una grazia di Dio, che fa degli sposi un segno della sua grazia e del suo amore definivo. Però anche un cristiano può fallire e purtroppo oggi molti matrimoni cristiani falliscono. Dio nella sua fedeltà non lascia cadere nessuno e nella sua misericordia dà a ognuno che vuole convertirsi una nuova chance. Pertanto la Chiesa che è il sacramento cioè il segno e strumento della misericordia di Dio, deve essere vicina, aiutare, consigliare, incoraggiare. Un cristiano in questa situazione ha un particolare bisogno della grazia dei sacramenti. Non si possono concedere seconde nozze, ma – come dicevano i Padri della Chiesa – dopo il naufragio, una zattera per sopravvivere. Non un secondo matrimonio sacramentale, ma i mezzi sacramentali necessari nella sua situazione. Non si tratta di una soluzione per tutti i casi, che sono molto diversificati, ma per quanti fanno tutto ciò che è loro possibile nella loro situazione”.